Ho cominciato a lavorare con la fotografia negli studi di Fabrica, per Benetton: vedevo modelle e modelli sfilare e posare per scatti impeccabili, tecnicamente perfetti, letteralmente da copertina. Ma sapevo che cercavo qualcosa di diverso per me. Guardavo Vogue e mi fermavo sugli editoriali di Paolo Roversi: delicati, struggenti, magici. Volutamente particolari, spesso mossi, imperfetti.
Tra gli studi di Fabrica e il fondale bianco dell’università ho capito che le bellissime modelle e le pose statiche non mi davano l’emozione che volevo.
Che la bellezza, la vera bellezza non è quella esteriore ma quella che si legge negli occhi e che traspare dai gesti. Quella che si vede nei dettagli dei volti, degli abiti… E che volevo che le mie foto facessero provare qualcosa in chi le guardava.
Trovo che ci siano due modi di fotografare un matrimonio.
Il primo è quello romantico, delicato, sognante, intimo: i dettagli della vestizione, il romanticismo del servizio di coppia, l’abito, le mani che allacciato, slacciano, riprovano, accarezzano, i volti che si sfiorano appena… trovo che siano tutte parole di una bellissima e dolce poesia.
Il secondo lato è quello spontaneo, autentico, più “rock”, quello che nonostante la bellezza e l’importanza dell’evento fuoriesce comunque, perché il secondo lato siete voi, la vostra personalità, le vostre vere emozioni. Perché si, le foto devono essere belle ed eleganti, ma più importante è che “parlino”, che facciano provare un’emozione.
Mi piace chiamarli così, Rock e Jane Austen, le due facce del mio stile fotografico.
Così sono diventata una fotografa di matrimoni a Venezia e Parigi, e ovunque io riesca ad andare!
